Questo film è uno di quelli che aspettavo con impazienza già da un paio di settimane prima della sua uscita continuando a pensare "Ma quando esce!?" e appena arriva il fatidico giorno, corro a vederlo. I motivi della mia smania di vedere questo film sono svariati...

Prima di tutti il regista, Paolo Sorrentino, uno dei pochi italiani a sfornare film degni di essere chiamati tali, con uno stile alla pari dei nostri cugini americani e una vera e propria regia, poi adoro i Road Movie, la colonna sonora, Sean Penn travestito da Robert Smith e il taglio commedia-alternativa-melodrammatica (tipo Little Miss Sunshine, Juno, i film di Wes Anderson). I primi minuti del film sono visivamente spettacolari, non c'è un inquadratura che non sia fantastica, immagini dopo immagini perfette, il personaggio di Cheyenne che contrasta fortemente con ogni paesaggio e situazione in cui si trova, aiuta a rendere il tutto così eclatante. Attraverso un susseguirsi di scene non del tutto connesse vengono delineati i vari personaggi del film e collocati nel contesto reale della storia, cosi che appena inizia la parte centrale del racconto, abbiamo già tutti una certa familiarità con loro e con l'ambiente che li ospita. Cheyenne è una rock star in pensione ormai dalla fine degli anni 80, passa le sue giornate ad oltranza in parte con Mary,una teenager dark sua fan, in parte con la moglie-pompiere, a giocare a pelota in una piscina dismessa nel cortile della sua villa milionaria e a mangiare pizze valsoia alle verdure, tendenzialmente sembra molto annoiato dalla sua routine tantè che crede di avere una leggera forma di depressione. Un giorno riceve la chiamata: suo padre è morto... si, il padre con cui non si vede e non si parla da 30 anni esattamente da quando ha iniziato, all'età di 15 anni, a truccarsi e ad andare in giro in perfetto stile dark con tanto di anfibi, mascara, rossetto e capelli cotonati, cosa che fa tuttora. Cosi in un lampo la sua vita viene scossa e lo lancia in un viaggio alla riscoperta di se stesso, salvandolo da una vita lenta e noiosa incapace di staccarsi dal suo passato da rock star. Prende una nave per New York, ha paura di volare, e raggiunge i familiari per ossequiare la salma del padre ebreo(ovviamente ovunque vada Cheyenne riceve il trattamento che tutti ci immaginiamo venga riservato a un 45enne malmesso travestito da Robert Cure) gli vengono consegnati dal cugino due diari, uno pieno di disegni e l'altro di parole, la vita di suo padre. Si scopre che non era riuscito a dimenticarsi del trattamento subito nell'olocausto da una guardia nazista e che aveva impiegato tutta la sua vita a cercarla. Cosi il testimone della caccia, passa a Cheyenne che decide di vendicarlo, acquista una pistola-fucile che spara da 70m( perchè un conto e uccidere, e un conto e uccidere senza essere visti, come gli ricorda il vecchietto che gli consiglia l'acquisto) e inizia la ricerca del Nazi-aguzzino. Inizia così il viaggio, guidato dalla testimonianza del vecchio, che porta il protagonista ad incontrare in quest'ordine:
1) la moglie del nazista
2) la nipote
3) il nazista
In ogni incontro del suo viaggio, in ogni situazione, Cheyenne si dimostra molto più saggio e profondo di quello che l'apparenza ci suggerisce, la sua risatina, la lentezza sintomo di un passato al limite, sembra quasi raccontare a se stesso cose che da tempo avrebbe dovuto dirsi ad alta voce. Inoltre con la sua saggezza lascia un segno anche alle persone che incontra, dimostrando una sete di vendetta molto superficiale ed effimera. Tra una vicesitudine e l'altra incontra anche altri personaggi secondari come un broker finanziario fissato con i pick up che gli chiede di riportagli il mezzo a casa, un tatuatore completamente tatuato e mezzo filosofo, un vero Indiano muto che trova nella sua auto dopo una sosta in una stazione di servizio e che si fa lasciare nel bel mezzo del deserto, il pistacchio più grande del mondo, delineando così un confine molto sottile fra reale e surreale. Il finale della storia è molto semplice ma efficace, ma non voglio svelarvi nulla.
Uno dei momenti più belli del film è lo scambio di battute tra il ragazzino e Cheyenne a cui chiede di eseguire un pezzo degli
Arcade Fire, This must be the place, che in realtà è dei Talking Heads con un mini-dialogo (forse uno dei più esplicativi del film: ormai sei vecchio) veramente divertente.
E non da meno è la domanda che Cheyenne pone a sua moglie:"...mi spieghi perchè hai permesso a un architetto di scrivere cucina in cucina, si capiva benissimo da sè..."(una roba del genere).
In tutto il film il personaggio di Cheyenne con la sua originalità fa ridere e sorridere, e lancia alcune massime molto significative. Alla fine del film la sensazione è che manca qualcosa, non so bene cosa, forse il fatto che il film è molto riflessivo-contemplativo, con un utilizzo dei dialoghi centellinato per lasciare spazio alle immagini. Nonostante la sua particolarità non risulta assolutamente lento e il tintinnio dello xilofono di This Must be the Place che parte ogni tanto fino a regalarci l'intero pezzo, con David Byrne, è veramente la ciliegina sulla torta.
Un film di un altro spessore, su cui riflettere una volta che è terminato e da rivedere per cogliere al meglio ogni sua sfumatura, e per godere di riprese veramente fantastiche.